Inizio '900: l'autismo "non esiste", o "meglio" (si fa per dire) era considerato come un sintomo di una particolare fase della psicosi schizofrenica. Il contesto storico e culturale è quello delle prime grandi tradizioni psichiatriche e psicoanalitiche.
Anni '40 del secolo scorso: Kanner, psichiatra austriaco, naturalizzato statunitense, descrive per la prima volta, su base osservazionale, l'autismo infantile.
È una svolta storica e culturale. L'autismo non viene più concepito come un "sintomo" all'interno di un quadro clinico psicotico, ma viene concepito come una condizione a sé stante, connotata da caratteristiche specifiche: ripetitività e ossessività, tendenza all'isolamento; isolate e peculiari capacità.
Sicuramente a leggerlo oggi è un lessico superato e offre una visione parziale e limitata ma all'epoca fu un bel salto culturale!
Più o meno nello stesso periodo, ma in un'altra parte del mondo (e questo ha fatto un'enorme differenza), Hans Asperger, pediatra austriaco, osservò alcuni bambini il cui comportamento ricordava quello descritto dalle osservazioni di Kanner, presentando però caratteristiche "più sfumate": propensione alla socialità ma con una certa immaturità e ingenuità, con inevitabile goffaggine sociale; amore per la routine; spesso spiccata intelligenza; linguaggio e modi pedanti; difficoltà nella reciprocità e nell'empatia. Nasce così la "sindrome di Asperger", una forma di autismo più sfumata. Il lessico è sempre quello che è ma siamo sempre negli anni '40 del '900...
Asperger e Kanner, inconsapevoli l'uno del lavoro dell'altri, separati dell'oceano, da migliaia di chilometri e da contesti assolutamente imparagonabili tra loro (in Europa imperversava la guerra, e l'Austria era nel cuore dell'impero nazista) riuscirono a diffondere le loro osservazioni e teorie in modo completamente diverso.
Le teorie di Kanner si diffusero in modo molto rapido, andando a connotare profondamente l'idea di autismo, sul piano delle caratteristiche cliniche e dei criteri diagnostici.
Le teorie di Asperger, dato il contesto e il momento in cui si trovò ad operare, rimasero invece alquanto sconosciute...
Nonostante recentemente Asperger si sia trovato travolto in un tardivo ricorso storico di revisionismo critico post mortem e, accusato di collaborazionismo nazista, il pediatra austriaco ha dato un grande contributo a ciò che ancora oggi sappiamo dell'autismo e, soprattutto, della sua grandissima eterogeneità e di quanto le sue caratteristiche connotino profondamente e in modo unico la persona. "Se conosci una persona autistica, conosci solo una persona autistica". Questa frase, che alcune fonti gli attribuiscono, rende bene l'idea di quanto avesse inteso e dell'invito a non appiattire e generalizzare, quando si tratta di persone. Non male data l'epoca.
Eppure, nessuno mise in relazione il comportamento osservato da Kanner con quanto osservato da Asperger. Dovette trascorrere molto tempo e dovettero avvicendarsi alcune generazioni di studiosi e studiose...
Mentre il tempo passava però, le cose non erano ferme. E quando mai lo sono...per fortuna! La scienza progrediva, e alcune idee sulle cause dell'autismo e sulle caratteristiche autistiche vennero, gradualmente e finalmente superate: così fu per la teoria della "madre frigorifero" e per le teorie patogenetiche sul legame tra autismo e psicosi. Lentamente e poi sempre più velocemente invece, si facevano strada le conoscenze sui fondamenti genetici dell'autismo. Eravamo lontani dai 900 geni candidati oggi sotto i nostri riflettori, ma eravamo già su una strada più radicata in quelle che sarebbero diventate le evidenze neuroscientifiche del neurosviluppo....Ok, ok....e nel frattempo Kanner e Asperger si erano "incontrati"? (Metaforicamente parlando si intende....)
Anni '80-90: ci siamo!!!!Uta Frith, Lorna Wing, e poi Gillberg (e altri ancora....) "scoprono", contestualmente al loro lavoro clinico di osservazione e terapia, ragazzi e adulti con caratteristiche simili a quelle descritte da Asperger negli anni '40, e BOOM!!!! Ecco che la sindrome di Asperger entra in scena.
E, nel 1994, entra nel DSM (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali) all'interno dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.
Il ritardo clamoroso però ha lasciato dei segni....
L'eterogeneità dell'autismo e una conoscenza fondata sui criteri clinici e diagnostici di Kanner, fecero sì che molto, moltissimi autistici, con condizioni "sfumate" non venissero intercettate.
Intere "lost generation". E sappiamo quanto la mancanza di consapevolezza possa fare danni e incida negativamente sulla salute mentale...
Oggi siamo "più bravi" a cogliere l'estrema eterogeneità dell'autismo, ma dobbiamo ancora e ancora e ancora affinare i nostri strumenti e limare e superare i nostri pregiudizi...
Eh ma non è mica finita qui!!!!
2013: Ci sono troppe "etichette" per definire i "sotto-tipi" di autismo! Così non funziona!
Nel tentativo di preservare la tenuta e l'accuratezza delle diagnosi nell'arco di vita e di superare il limite della diagnosi categoriale, vengono ridefiniti i criteri diagnostici e di definizione. Nessuna sottocategoria, un unico Spettro Autistico, all'interno del quale usare gli specificatori per individualizzare la diagnosi, al fine di superare il limite dell'etichetta e cogliere quanti più aspetti della specifica persona e della sua condizione. Un unico termine: "Disturbo dello Spettro Autistico ".
2022: la revisione del DSM (5 -.TR), mantiene il cambiamento instaurato nel 2013.
E la sindrome di Asperger? Non ha fatto in tempo a entrare dalla porta che è uscita dalla finestra?
No. È stata ridefinita, all'interno dell'unico costrutto di "Disturbo dello Spettro Autistico", come: "Autismo di livello 1 senza compromissione del linguaggio e dell'intelligenza associata".
La comunità scientifica e le stesse persone autistiche non sono concordi sul beneficio di questo cambiamento, tutt'ora discusso e in corso di costante revisione critica.
Dal 2010, più o meno...il Neurodiversity Movement, mosso dalle idee di Judy Singer e sulla scia del cambiamento scientifico e culturale maturato all'interno dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), sostiene una revisione del linguaggio scientifico a favore di un lessico aggiornato e meno medicalizzato e supporta il coinvolgimento attivo degli autistici nelle politiche e negli interventi a loro dedicati. Questi processi, che mettono al primo posto, al centro, la persona (“Identity first”) e non la sua “diagnosi”, hanno avuto e hanno un ruolo importantissimo nella revisione critica del lessico e nell’ampliamento della visione che abbiamo dell’autismo.
Ad oggi, anche grazie all’influsso delle evidenze neuroscientifiche, l’autismo è definibile come una neurodiversità, un processo di neurosviluppo, divergente rispetto alla norma cosiddetta “tipica”, ma non necessariamente o primariamente concepibile come un insieme di caratteristiche o di processi di per sé “clinici” o “patologici”. Uno “spettro” o meglio un insieme non lineare di caratteristiche differenti nell’ambito dei processi di elaborazione delle informazioni, che vanno a connotare in modo specifico lo stile socio-relazionale, emotivo, esecutivo e sensoriale della persona.
Diamo qualche altro numero? Recenti stime del CDC, orientano per una prevalenza di 1:54 autistici tra i bambini di 8 anni di età. Se consideriamo le cosiddette forme sfumate (autismo di livello 1; sindrome di Asperger) i numeri cambiano, suggerendo incidenza e prevalenza più rilevanti.
Ma ora viene il bello (?!)… Il rapporto maschi – femmine rispetto all’incidenza dell’autismo è sempre stato sbilanciato a favore dei maschi.
Attualmente, alcune stime suggeriscono un rapporto di 3:1 (Loomes et al., 2017). Questo dato mostra una tendenza al cambiamento negli ultimi anni, da quando cioè siamo diventati “più bravi” a individuare l’autismo di livello 1 nelle donne, dato che esso si manifesta in modo molto più sottili, diversi, rispetto ai maschi. Al di là di caratteristiche di tipo biologico, che rappresentano acclarati fattori di maggiore vulnerabilità per l’autismo nei maschi, c’è, di nuovo, una generazione perduta di donne autistiche, sfuggite a “radar” non ancora adeguatamente sensibili, e colpite da tutti gli effetti negativi secondari a un mancato riconoscimento di caratteristiche ed esigenze specifiche…
Oggi la divulgazione di notizie e informazioni sull’autismo è molto più accessibile, grazie anche al coinvolgimento attivo non solo dei clinici e di tutti gli specialisti che lavorano nel campo, ma delle stesse persone autistiche e delle loro famiglie (spesso unite in organismi associativi) impegnate in un corretto fine divulgativo di informazioni e processi adeguati di supporto alla consapevolezza.
Le evidenze scientifiche ci aiutano a muoverci con cura e rispetto all’interno di un processo molto complesso, quale è quello del neurosviluppo e della neurodivergenza, individuandone gli aspetti clinici quanto quelli relativi a uno sviluppo fisiologicamente neurodivergente, che naturalmente merita tutto il supporto possibile per evitare frizioni infruttuose con un mondo ancora troppo, troppo, troppo, neurotipicamente normato. L’idea “vincente” è provare a supportare tutte le persone alla maggiore consapevolezza possibile di sé stessi, per essere attivamente i padroni della loro vita e del loro mondo. Naturalmente non solo il 2 Aprile, ma tutti i giorni, di tutti gli anni, di tutta la vita!
Dott.ssa Maria Marino, Studio Napoletano Psicologia Cognitiva - Napoli