Si avvicina una nuova Giornata Mondiale della Terra, il 22 Aprile. Certamente quest’anno non ci saranno manifestazioni oceaniche per reclamare e sostenere maggiore attenzione per l’ambiente. La pandemia in corso ci costringe a restare a casa, in attenta osservanza delle norme necessarie per diminuire la forza e i danni di questo virus, e questo ora ha la priorità. Ma non dobbiamo dimenticare la salute del nostro pianeta e, quando questo incubo sarà finito dovremo rimetterci mano. Per necessità. E non solo per la minaccia, ormai seria e palpabile, del riscaldamento globale e del suo impatto per la nostra sicurezza e sopravvivenza, fisica e psicologica, ma anche per limitare il rischio di nuove pandemie. Nell’augurare frattanto buona fortuna a tutti noi, un suggerimento di lettura, presentando questo estratto del direttore dell’edizione italiana di National Geographic, che apre il numero di Aprile 2020.
L’argomento della rivista, di cui vi consigliamo vivamente la lettura, è dedicato alla salute del pianeta, con una suggestiva e forte proiezione di come potrebbe essere la terra nel 2070, immaginando due scenari: uno pessimista, verso un pianeta sempre più instabile, danneggiato e insicuro, con migrazioni e conflitti climatici, catastrofi naturali e umane, perdita irreversibile di territori, di specie e di risorse; e l’altro ottimista, che mette in luce quanto, ancora, possiamo fare per salvare il nostro pianeta, assicurandogli una lunga e più salubre vita, prima del punto di non ritorno.
Dopo che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato il lockdown, la chiusura di tutto il paese eccetto che per le attività essenziali, a causa della pandemia da COVID 19, che sta flagellando l’Italia e il mondo, l’argomento della salute del nostro pianeta sembra passare in secondo piano. Le prossime settimane saranno decisive per contenere l’impatto del virus, ma l’idea di poter mettere in secondo piano, sullo sfondo, la questione della salute del pianeta è solo illusoria. Si, perché, in realtà, il trasferimento di un virus dagli animali all’uomo (fatto che ha diffuso il virus trovandogli un ospite umano) ha moltissimo a che fare con la nostra impronta sul pianeta. Se avete letto Spillover, bellissimo saggio di David Quommen, una idea ce la avete; e se non lo avete letto, fatelo, in questo tempo sospeso. Basterebbe anche aver sentito parlare la virologa Ilaria Capua, per avere un’idea del ruolo che l’impatto dell’uomo sulla terra nella diffusione di pandemie da zoonosi (da passaggio da una specie animale a un uomo). Il perché è presto spiegabile. Il coronavirus responsabile della pandemia in corso è stato originato da mutazioni di un virus presente nei pipistrelli che gli hanno permesso di trovare un nuovo ospite: noi.
Ma il virus è arrivato a noi grazie a una combinazione di cause, tra le quali il nostro impatto sul pianeta, dalla deforestazione alla distruzione degli habitat, con forti cambiamenti nella maggior parte delle terre emerse, fino alla nostra fragilità di società ipertecnologica e tuttavia del tutto impreparata a fronteggiare una minaccia improvvisa, di cui pure avevamo avuto delle avvisaglie. Perché già diversi anni fa, dopo la prima epidemia di SARS, diversi scienziati e ricercatori avevano avvistato che nei pipistrelli c’erano diversi coronavirus pronti a fare il salto di specie. Ed eccoci qua.
Non si può quindi fare finta di niente e continuare a confidare nella lentezza dei cambiamenti climatici e del tempo differito con cui fino ad ora questi cambiamenti hanno espresso il loro effetto dannoso. Questa negazione presta il fianco ad atteggiamenti ottusi e, a questo punto del tutto irrazionali. Questo non è un evento isolato e, quando tutto sarà passato, per quanto potrà passare, poter tornare a vivere significherà non dimenticare più, mai più, che la nostra salute e la nostra vita sono legate indissolubilmente a quella di questo nostro fragile, generoso, ferito e bellissimo pianeta.
Fonte: National Geographic