Psicoterapia dello spettro autistico lieve e dell’Asperger in adolescenza e in età adulta

Psicoterapia dello spettro autistico lieve e dell’Asperger in adolescenza e in età adulta: riflessioni sulla diagnosi, la clinica e l’etica nel contesto del lavoro e della relazione terapeutica.

DOTT.SSA MARIA MARINO, psicologa, psicoterapeuta cognitivo – comportamentale.

Studio Napoletano Psicologia Cognitiva

 

Sintesi del contributo dalla diretta on line di mercoledì 20 Luglio (link al video disponibili in coda)

Ho avuto il piacere di essere invitata dal collega wladimir fezza per questo scambio, che vorrei riguardasse una riflessione aperta sulle buone pratiche cliniche, che concernono l’accuratezza della diagnosi di autismo e la messa a punto di un intervento psicoeducativo e terapeutico che deve, prima di tutto, riguardare - non la medicalizzazione - ma l’informazione e il supporto alla consapevolezza della persona autistica.

Questo tira in ballo un discorso ampio e complesso, perche’ la neurodivergenza autistica e’ spesso assimilata a una condizione di “disabilita’” o di “deficit”.  e, in termini di distribuzione percentuale e di intensita’ o tipo di caratteristiche, spesso è vero che l’autismo si esprime come un insieme complesso di deficit dell’interazione socio – comunicativa e di comportamenti e interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati, che possono causare gravi difficolta’ accompagnandosi a profondi deficit comunicativi, a disabilita’ intellettiva e a comorbidita’ per disturbi del comportamento, psicopatologici e neurologici, spesso gravi.

Ma la concezione tout court di neurodivergenza come “disabilita’” o “deficit” va, quantomeno, problematizzata e discussa. perche’ non e’ ,di per se’, una condizione “clinica”.

Questo e’ un discorso che naturalmente, per quanto concerne lo spettro autistico, coinvolge in particolar modo le condizioni piu’ sfumate di autismo, quelle che si collocano all’estremo piu’ lieve dello spettro e che prima dei cambiamenti dei criteri diagnostici e categoriali definivamo “Asperger”, mentre ora vengono definite come: disturbo dello spettro autistico di livello 1, senza compromissione intellettiva e del linguaggio associata”.

Il termine “Asperger” e’ tuttora utilizzato e il suo reinserimento all’interno della macrocategoria dello spettro e’ attualmente oggetto di discussione. Pertanto io lo usero’ qui per riferirmi all’autismo lieve.

Come in tutte le condizioni che riguardano aspetti strutturali di un individuo, anche nell’Asperger e’ fondamentale, quindi, distinguere cio’ che è “clinico” da cio’ che non lo è. E’ importante muoversi nel rispetto della buona prassi clinica e terapeutica e, al contempo, non patologizzare la persona o le sue caratteristiche e viceversa.

Per questo lo scambio di oggi riguarda la clinica ma anche la consapevolezza, l’advocacy e l’etica.

Per cercare di muoversi nel lavoro tenendo conto di questo principio, possiamo tenere presente alcune acquisizioni che vengono dall’antropologia ma anche dalle neuroscienze, che studiano il sistema nervoso e il suo sviluppo e che possono aiutarci nella comprensione dei molteplici aspetti dell’autsimo.

Una riflessione riguarda certamente il concetto di  neurodiversita’, termine oggi molto usato.

Il termine “neurodiversity” e’ stato introdotto alla fine degli anni ’90 da una studiosa e attivista autistica, la Dott.ssa Judy Singer. Il concetto di “neurodiversita’” richiama quello di “biodiversita’” e si riferisce alla “illimitata variabilita’ della cognizione umana e all’unicita’ di ogni mente umana” siamo tutti “neurodiversi” in questo senso. La neurodiversita’ comprende tanto le persone il cui sistema nervoso ha seguito uno sviluppo considerato “tipico” quanto coloro che vengono raggruppate in un neurosviluppo differente, come nel caso dell’autismo appunto.

La parola “neurodiversità” riguarda quindi ogni cervello umano, mentre altre condizioni del neurosviluppo, come l’autismo, vengono definite “neuroatipiche” o “neurodivergenti”.

Con “neurodivergenza” si intende, quindi, un processo di sviluppo del sistema nervoso che porta a una configurazione che diverge dalla “norma tipica” e che causa delle caratteristiche cognitive, sociali e comportamentali, spesso definibili e caratterizzanti.

Il neurosviluppo e’ un processo complesso, su base genetica e con una complessa interazione tra geni e ambiente.

L’autismo viene appunto definito come una condizione di sviluppo neurodivergente, su base neurobiologica.

Le caratteristiche dell’autismo sono visibili in genere dalla prima infanzia e le caratteristiche di neurodivergenza autistica riguardano le manifestazioni del cosiddetto “cervello” sociale: interazione sociale e comunicativa tipica, presenza di comportamenti e interessi peculiari, ripetitivi e stereotipati, processi cognitivi e metacognitivi divergenti in relazione alla modulazione del monitoraggio, dell’empatia, della teoria della mente, del decentramento e delle strategie di coping. questo, insieme a una maggiore reattivita’ emotiva e comportamentale.

Il concetto di “neurodivergenza” è quindi  veramente fondamentale nel nostro discorso.

L’autismo, nella cultura scientifica e nei manuali categoriali, clinici e di intervento e’ definito come un “disturbo del neurosviluppo”, che presenta, in modo estremamente variabile, delle caratteristiche centrali, i cosiddetti “core symptoms”: deficit socio-comunicativi e anomalie del comportamento.

Come accennavamo prima, l’autismo raccoglie ed esprime un insieme di condizioni che, sono, di fatto, molto eterogenee e diverse tra loro, poiché il numero e il livello di intensità e gravità delle manifestazioni e dei sintomi può variare considerevolmente. Esistono così le forme di autismo più gravi e marcate - per esempio quelle con compromissione del linguaggio, disabilità variabile del livello cognitivo e presenza di disturbi del comportamento, e le forme più lievi, fino ad arrivare ai quadri più sfumati, i cosiddetti «alti funzionamenti», caratterizzati da assenza di compromissione del linguaggio e livello cognitivo nella norma o superiore. …e ancora “oltre”, fino alle forme più sfumate, che si collocano all’estremo più lieve dello spettro dell’autismo, e che prima erano classificate sotto il nome di sindrome di Asperger.

l’Asperger è una condizione del neurosviluppo caratterizzata da processi variabili per presenza, frequenza ed intensita’ espressiva in diverse aree: interazione sociale, comunicazione  e pragmatica sociale, immaginazione, stile di eleborazione delle informazioni sociali, non sociali e propriocettive, caratteristiche metacognitive, sensibilità sensoriale, presenza di interessi speciali, forte bisogno di routine, goffagine motoria.

Rispetto al cosiddetto “autismo classico” (kanneriano), presenta aspetti di intensità e, quanto presenta elementi sintomatici, qualità sintomatologica diversa , oltre che quoziente intellettivo nella norma o spesso molto superiore alla norma,  presenza di talenti – abilità savant - in alcune aree e per l’assenza di ritardo nello sviluppo del linguaggio.

Tornando alla questione della neurodivergenza, il punto e’ che quello che definisce una condizione come “clinica” nell’ambito dello sviluppo e della psicopatologia e’ la presenza di segni e sintomi e l’impatto sul funzionamento in diversi contesti di vita, oltre che il grado di sofferenza soggettivamente esperita. E’ su questo che si pone la diagnosi.

E’ chiaro quindi che, se per alcune condizioni e circostanze correlate all’autismo ci dobbiamo collocare in un ambito di rilievo clinico, non tutti i fenomeni legati alla neurodivergenza sono di per se’ “patologici” o “clinici”.

Lo stile di elaborazione delle informazioni sociali e non sociali (per non sociali intendiamo anche quelle che provengono dal corpo e dalla nostra percezione emotiva e cognitiva), le caratterisiche metacognitive e lo stile socio-comunicativo e comportamentale ad esse collegato, non sono assimilabili a un processo patologico: spesso diventano una fattore di vulnerabilita’ quando non compresi e, soprattutto, nella frizione che si crea tra il modo di relazionarsi di un autistico con il modo di relazionarsi di un neurotipico, dati i differenti stili nel modo di esprimersi, iniziare, e mantenere una conversazione, condividere e  manifestare interessi e reciprocità, esprimere giudizi, recepire e modulare le norme sociali all’interno della comunicazione e dei contesti, reagire alla quantita’ e alla complessita’ di stimoli.

Molto spesso il problema e’ correlato a questo e non necessariamente connaturato nell’autismo, che e’ una condizione di sviluppo del cervello.

Questa prospettiva, per cui la neurodivergenza non e’ di per se assimilabile a una disabilita’ o a una “sindrome” e’ fondamentale da diversi punti di vista.

Sul piano “diagnostico”, perche’ ci ricorda che non stiamo parlando di una “malattia” da curare o dalla quale “guarire” ma di una condizione connaturata allo sviluppo della persona, che si intreccera’ con la formazione della sua identita’ e del suo carattere.

Sul piano “clinico” più ampio perche’ ci aiuta ricordare l’importanza di separare i segni e i sintomi da quelli che segni e sintomi non sono, ma sono caratteristiche neurodivergenti che vanno comprese e illuminate dalla consapevolezza: non vanno curate, vanno viste e gestite, dalla persona autistica in primis, nel rispetto prima di tutto delle proprie esigenze e in funzione di una maggiore mastery nei diversi ambienti di vita. Sul piano “etico” perche’ il rispetto delle caratteristiche individuali e una visione paritaria e non medicalizzata a oltranza dovrebbe ispirare sempre la nostra pratica clinica e, per quanto riguarda l’autismo, questo e’ anche in linea con la crescita di cultura e consapevolezza portata avanti dalle persone autistiche che sono sempre piu’ coinvolte nel diffondere in prma persona testimoniante, informazioni e cultura sull’autismo.

Nella pratica psicoterapeutica infine, questo e’ fondamentale perche’ connota il modo in cui nasce e si sviluppa la relazione e il senso condiviso dell’intervento terapeutico.

Spesso i ragazzi o gli adulti arrivano senza “sapere” di essere autistici o portati per le problematiche relazionali, di ansia, di apprendimento o di comportamento spesso correlate all’autismo, con l’idea che si debba lavorare per “cambiare” qualcosa. naturalmente questo assunto alimenta il sottostante vissuto di diversita’ e inadeguatezza relativo all’idea che ci sia “qualcosa che non va”. Per superare questo gap, questo bias, che segnerebbe una definitiva percezione della persona, anche all’interno del contesto “terapeutico”, come aliena, bisogna lavorare sulla consapevolezza delle caratteristiche di interazione, di comunicazione e di comportamento, da una prospettiva accurata rispetto ai processi di neurosviluppo, neurodiversita’ e neurodivergenza. questo - mantenendo una accuratezza scientifica e una consapevolezza clinica – aiutando la persona autistica a divenire consapevole del senso e della connotazione del proprio modo di essere e di come queste caratteristiche possano impattare nei contesti sociali, diventando in questo questo intreccio, elementi di vulnerabilita’ che, se compresi, possono invece essere padroneggiati o possono portare la persona ad ottenere i livelli di assistenza e supporto adatti.

Dott.ssa Maria Marino

 

Video della diretta disponibile ai link:

https://fb.watch/enKuQTrE7x/

https://youtu.be/1IWyBfkq528