Dott.ssa Maria Marino – Studio Napoletano Psicologia Cognitiva
Lo scorso 9 Dicembre si è svolto, ad Ancona il Congresso Intermedio della “SITCC”, la Società Italiana di Terapia Cognitivo Comportamentale, dal titolo: “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.
E’ stata un’occasione per colleghi e specialisti di riunirsi - finalmente di persona dopo le lunghe e faticose restrizioni imposte dalla recente pandemia, e per riaprire una discussione sullo stato dell’arte dei trattamenti per l’età evolutiva, anche alla luce di quanto questa ampia e delicata fascia di età sia stata provata dall’esperienza del COVID-19 e di come la stessa pandemia abbia inciso sui dai epidemiologici ed espressivi nella psicopatologia dell’età evolutiva.
Lo Studio Napoletano di Psicologia Cognitiva è stato, insieme al Centro Clinico Astrea di Roma, presente al Convegno, con un contributo sui Disturbi del Comportamento Alimentare, del quale riportiamo una breve sintesi, data la rilevanza di questa condizione clinica - che riguarda sempre più persone, anche in una fascia di età prepubere e infantile e in modo trasversale rispetto al genere e alla cultura di appartenenza, soffermandoci, in particolare, sui disturbi caratterizzati da restrizione e selettività alimentare (Anoressia e ARFID).
L’Anoressia nervosa è una malattia psichiatrica frequente, grave e con un alto tasso di cronicizzazione e rischio di mortalità (quasi 6 volte maggiore a quello della popolazione generale).
Le caratteristiche fondamentali sono rappresentate da una preoccupazione patologica per il peso e le forme corporee, da alterazione dell’immagine corporea. Nel temperamento e nella “personalità” dei soggetti che tendono a sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, ci sono tuttavia, anche prima dell’esordio delle caratteristiche strutturali e sottostanti che connotano il comportamento e aumentano la vulnerabilità a sviluppare questo specifico disturbo. Questi elementi “premorbosi”, sono relativi a processi neuropsicologici e metacognitivi, quali vulnerabilità nel senso autoefficacia percepita (valutata come un passaggio brusco tra “sono capace” a “non sono capace”), rigidità, perfezionismo, harm avoidance (un insieme di caratteristiche orientate a “evitare” il contatto con le emozioni connotato da un carattere ipercontrollante e inibito).
Gli elementi sottostanti allo sviluppo dei comportamenti alimentari restrittivi e selettivi, insieme all’abbassamento dell’età di esordio e ai dati relativi all’influenza di fattori genetici (dati che provengono dagli studi su gemelli) hanno contribuito a fornire importanti spunti di riflessione su questo complesso problema.
In particolare, sono di grande rilievo per la comprensione delle caratteristiche e per lo sviluppo di trattamenti efficaci, le recenti conoscenze relative a: la presenza di selettività alimentare (tendenza a selezionare i cibi in base alla sensorialità) nell’infanzia di soggetti che poi svilupperanno anoressia nervosa; la frequente presenza sempre in infanzia di ARFID (acronimo inglese per indicare il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo, che si manifesta tipicamente in età pediatrica e provoca restrizione alimentare in assenza di ideazione anoressica); la rilevanza di tratti autistici, spesso presenti in persone con anoressia nervosa.
Perché questi elementi sono importanti da individuare? La selettività alimentare e l’ARFID (che è, quest’ultimo, il disturbo alimentare più frequente in età pediatrica) sono problemi in crescita e in aumento, sicuramente anche per una maggiore sensibilità e capacità di individuarli da parte degli specialisti. Entrambe le problematiche, che siano di natura reattiva (seguite cioè a eventi condizionanti o traumatici) o connesse ad autismo, possono rappresentare un rischio per la salute, hanno un impatto negativo sulla qualità di vita del soggetto e della famiglia e aumentano il rischio di sviluppare, successivamente, un disturbo del comportamento alimentare, in particolare l’Anoressia Nervosa.
Abbiamo cercato, quindi, di evidenziare come sia indispensabile individuare tali problematiche, che hanno una rilevanza specifica e rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di ulteriori disturbi e di discutere su quali siano le strategie di intervento auspicabili sulla base delle attuali conoscenze.
Attualmente sappiamo che il coinvolgimento dei familiari è indispensabile ed è una grande risorsa nel trattamento delle fasi precoci e più insidiose dei Disturbi Alimentari. Ci sono evidenze relative all’utilità di applicare protocolli basati sulla teoria dell’attaccamento e/o sulla psicologia dello sviluppo.
Questi protocolli, hanno il primo obiettivo di aiutare i genitori empatizzando con il grave conflitto emotivo che si trovano a gestire tentando di fronteggiare il problema alimentare del proprio bambino: i genitori si sentono, infatti, da un lato, spinti a proteggere il proprio figlio che appare vulnerabile a causa del problema, ma, al tempo stesso provano rabbia, dato che il problema che cercano di risolvere dipende in un certo qual modo dallo stesso bambino che “non vuole” mangiare. Questo innesca una contraddizione inizialmente irrisolvibile, perché fonte e vittima della minaccia sembrano coincidere agli occhi dei genitori che, quindi, comprensibilmente danno vita a comportamenti contraddittori, alternando “suppliche a minacce”. Nel lavoro è indispensabile empatizzare e aiutare i genitori a uscire da questa contraddizione, separando il proprio figlio dal problema che lo affligge e ripristinando gradualmente una capacità genitoriale supportiva e autorevole, “sicura”. Nell’ambito delle relazioni presentate si è parlato del modello del Circolo della Sicurezza (COS) e del Family Based Treatment come protocolli di intervento efficaci, basati sulla psicologia dello sviluppo e focalizzati a ripristinare condizioni di salute (BMI e peso corporeo) e abitudini alimentari sane, anche attraverso il lavoro sulla famiglia e il supporto alle capacità genitoriali.
In una prospettiva di matrice cognitivo-comportamentale (terreno comune della formazione di tutti gli specialisti intervenuti a questo simposio) che però tenga conto della necessità di approcciare al paziente attraverso una formulazione del caso attenta alle caratteristiche individuali e alla storia di vita della persona, si è tenuto conto anche del dato di letteratura relativo all’incidenza di esperienze traumatiche nella storia di vista dei soggetti con Disturbi del comportamento alimentare, presentando contribuiti, a partire da esperienze cliniche di lavoro tramite protocollo EMDR (dall'inglese “Eye Movement Desensitization and Reprocessing”, in italiano “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”) un metodo psicoterapico strutturato, interattivo e standardizzato, che facilita il trattamento di diverse psicopatologie e problemi legati sia ad eventi traumatici, che a esperienze più comuni ma emotivamente stressanti e che mostra dati che evidenziano la sua utile applicazione anche nel trattamento di aspetti connessi e di comorbidità complesse (psicopatologie associate) nei DCA.
Sempre al fine di sviluppare strategie ritagliare sul paziente e basandosi sulle recenti evidenze della letteratura, si è discusso delle strategie di intervento utili in presenza di alcune caratteristiche di esordio. Più su abbiamo sottolineato come un aspetto fondamentale dell’Anoressia Nervosa sia la preoccupazione eccessiva per il peso e le forme corporee che, in un’età come quella adolescenziale dove il corpo è fisiologicamente un oggetto di attenzione, diventano l’unico “metro” per valutare e “controllare” il proprio senso di efficacia e valore personale, sviluppando un’emotività e un comportamento coerenti con questo scopo ma compromessi sul piano psicopatologico. Questo è un insieme di caratteristiche spesso presente, specie negli esordi in età adolescenziale, quelli più “tipici”. Tuttavia, in altre circostanze (sempre più incidenti per quanto possiamo apprendere dai dati epidemiologici e dagli studi sulle caratteristiche psicopatologiche e neuropsicologiche), possiamo trovarci di fronte a un esordio precoce (età peri o prepubere) che spesso si accompagna a marcati deficit neuropsicologici e a una mancata percezione delle caratteristiche emotive e mentali sottese al disturbo (i pazienti, cioè, anche per una fisiologica immaturità cognitiva dovuta all’età o per caratteristiche neuropsicologiche specifiche “non sanno spiegare” perché sono portati a non mangiare). Abbiamo, quindi, presentato lavori clinici e evidenze di letteratura, indicativi della possibilità di lavorare con questi pazienti, sui processi neuropsicologici più che sull’emotività, che spesso, almeno in una prima fase è “inibita” o non “mentalizzata” e quindi meno presente come variabile sulla quale lavorare con il paziente. In tali circostanze, alcune strategie mutuate dalla Cognitive Remediation Therapy – CRT (Terapia di riabilitazione cognitiva) appaiono molto utili per aiutare il paziente - attraverso l’utilizzo di tasks e giochi, a lavorare per aumentare la flessibilità cognitiva, la capacità di sintesi e di equilibrio tra attenzione al dettaglio e capacità globali (sintetiche), la capacità di spostare l’attenzione e altri processi mentali molto connessi con l’anoressia e la restrizione alimentare. Tale lavoro è spesso utile per aumentare la flessibilità mentale del paziente, agendo anche in modo indiretto sui sistemi emotivi e comportamentali connessi al DCA, mentre aumenta la capacità del paziente stesso di riflettere sui propri pensieri e sulle emozioni connesse al problema alimentare. E’ stato anche evidenziato come tale lavoro sui processi sia trasversale e utile anche in casi di comorbidità tra Autismo e Anoressia, caratteristiche spesso associate e rispetto alle quali sono in corso studi per determinare i meccanismi di associazione e i loro significato.
Volendo tirare le somme, bisogna partire dall’evidenza di quanto il COVID abbia purtroppo inciso sull’aggravamento dei sintomi di pazienti con diagnosi di DCA e quanto abbia contribuito anche a nuovi esordi. Alcuni dati scientifici evidenziano un aumento del’80% di problematiche inerenti i DCA successivamente alla pandemia. Questo dato, insieme alle evidenze relative all’età di esordio, alla prevalenza di questi disturbi nelle minoranze sessuali, all’incidenza di disturbi alimentari in età pediatrica, alla rilevanza di elementi di neurosviluppo associati e alla complessità dei meccanismi eziopatogenetici associati, suggerisce la necessità di un approccio fortemente radicato in una solida conoscenza ma al contempo focalizzato sulle caratteristiche individuali del singolo paziente. Un lavoro supportato dai protocolli teorici e clinici ma che sappia essere “sartoriale” e integrato, rispetto al coinvolgimento di diverse figure professionali, all’ingaggio dei familiari, fino all’utilizzo di diverse strategie e tecniche di intervento.
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