“Buongiorno dottoressa, mi chiamo Laura ed ho bisogno di aiuto…non per me ma per mio fratello, i miei sono anziani…non sappiamo più che fare, è grande…era seguito ma la situazione è diventata ingestibile”
Sempre più spesso, i terapeuti in ambito privato vengono contattati da familiari di persone che vivono una difficile condizione di sofferenza, conseguente ad una patologia psichiatrica: la richiesta di aiuto è spesso disperata, poiché sentono di non poter più fronteggiare alcune situazioni. Chiamano come fosse l’ennesimo tentativo di capire, di trovare una strada, una strategia che allevi una condizione di vita esasperata. Il più delle volte, sono persone affette da patologie psichiatriche seguite nelle ASL di competenza, ma in maniera intermittente e senza un piano terapeutico integrato e multidisciplinare, senza comunicazione con i care-giver o i familiari più vicini. Questo crea un enorme buco nelle rete sanitaria e di conseguenza sociale, inficiando sulla qualità di vita di una grande fetta di popolazione oppure nei casi più gravi, implica conseguenze drammatiche.
Questo è una diretta conseguenza di infinite sforbiciate economiche che da molti anni tagliano i fondi alla Sanità Pubblica ed in particolare ai presidi sanitari preposti alla salute mentale. La gravità assoluta sta nella consapevolezza e nell’evidenza che la dimensione della salute mentale non può essere trattata esclusivamente in urgenza, e che l’unico intervento di cura efficace e produttivo, è la presa in carico del paziente e la comunicazione con i familiari, in un assetto multidisciplinare, in luoghi congrui per strutturare attività di cura e progetti sociali. Il confronto con i colleghi delle strutture pubbliche, ci conferma il loro sconcerto, nella mancanza di mezzi e strutture. Sono oberati da un numero sempre crescente di pazienti e da richieste legittime di seguimenti da parte dei familiari: hanno dimezzato gli operatori, i turni, centri e luoghi di cura e prevenzione. Spesso, nei casi più complessi, il filo di connessione rimane la visita di controllo oppure la chiamata in urgenza, in una dimensione che coinvolge tutti nell’impotenza, talvolta rabbiosa oppure di resa totale.
I tagli non hanno portato ad alcun risparmio, poiché gli interventi in urgenza e gli effetti sul piano del benessere sociale sono molto più cari, la società non ne trae alcun beneficio di crescita. Inoltre, impedire le cure in uno Stato, oltretutto “moderno”, va nella direzione opposta ai principi della civiltà, e questo ci riporta all’antropologa Margaret Mead. Tra i numerosi lavori condotti sul campo, ha indagato sul genere e sull’adolescenza osservando gruppi sociali in più parti del mondo, ha studiato vari aspetti della natura umana e dell’impatto con i fattori ambientali, gettando le basi a numerosi studi successivi nelle scienze psicologiche e sociali. L’antropologa, nel racconto di Ira Byock, evidenzia con chiarezza come il concetto di cura e medicina sia il primo segno della costruzione della civiltà, i cui albori vengono rappresentati da un femore guarito: “aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo”.
Dr.ssa Anna Sicolo
Studio Napoletano Psicologia Cognitiva